Il Monte Argentario è stato da sempre una dicotomia: mare e terra. La gente che ci ha vissuto ha tratto la propria vita (intesa anche come soddisfacimento delle proprie esigenze di sopravvivenza) sia dal mare che dalla terra, ha sempre avuto un rapporto simbiotico e fortissimo con la propria terra. Nell’arco degli anni, non si è persa la ragione di avere “un pezzo di terra” o come viene comunemente chiamata “la vigna”. Questa può spaziare dalla semplice posta con un filare di vite, od un piccolo appezzamento con 5 olivi, od un piccolo orto dove c’è acqua, fino a qualche albero da frutto attorniato da baccelli e carciofi in quantità che potevano sostenere le famiglie (che una volta molto numerose). Negli anni ’50 avevamo una fortissima presenza di ettari vitati. Certo, piccoli appezzamenti. Il latifondo all’Argentario, per ragioni storiche e sociologiche non è mai esistito veramente. Le famiglie, al contrario del sistema del “maso chiuso” di stampo tirolese, tendevano a parcellizzare e dividere tra i tanti eredi i terreni che venivano lasciati dagli avi. Così facendo si è arrivati fino ad oggi, con particelle molto piccole, che appartengono e sono intestate a decine di persone. La vite (in verità assieme e di pari passo all’olivo) è stata la coltivazione che ha mantenuto la sua identità forte, perché su queste rocce, tra questi terrazzamenti ed in queste valli, il vitigno madre ha trovato la sua degna dimora e la sua ragione d’essere: l’Ansonica (all’Argentario Ansonaca od all’Isola del Giglio Ansonaco) Uva a bacca bianca, è presente maggiormente in Toscana (in particolare all’Argentario, nell’arcipelago toscano e nelle aree costiere del basso grossetano e della costa degli etruschi livornese) e prende il più famoso nome di Insolia in Sicilia.
Da sempre, è stata l’uva che ha maggiormente resistito alle condizioni pedoclimatiche dell’Argentario, favorendo la nascita di un vino dai tratti importanti: grasso, robusto nel corpo, con un importante residuo zuccherino e un sapore caratteristico che tende ad essere morbido. Il colore lo rende molto tipico, perché generalmente quello fatto nelle nostre vigne ha forti tendenze verso il dorato (anche intenso), derivato proprio dal fatto di avere avuto molto sole, poca acqua e di trarre il proprio nutrimento da terreni impervi e particolarmente sassosi. Un discorso particolare va fatto sui terrazzamenti dove le nostre vigne vivono. L’esigenze del territorio - che hanno poi portato ad un affinamento dell’aspetto paesaggistico grazie ai caratteristici “muri a secco” -, e la sua giacitura del terreno obbligano ancora oggi a sistemare in “poste” il terreno. Per ragioni di ordine pratico (terreni meno estesi, pendenze rilevanti) e perché si doveva seguire i confini dei terreni e la corografia del territorio, sono nati, sviluppati, cresciuti (e poi abbandonati purtroppo) molti terrazzi che da quasi naturali, hanno trovato con la mano ed il lavoro dell’uomo un senso estetico e pratico che ancora oggi è patrimonio – non solo paesaggistico - del promontorio argentarino. Da noi non esiste una cultura contadina. Esiste più una tradizione contadina, tramandata per il rispetto della propria terra, per l’amore verso un territorio così esteticamente unico, per dare ragione di una memoria che ancora oggi è viva in piccoli gesti come fare il vino con i pochi ceppi che c’hanno lasciato i nostri padri o fare una “zaccandrella alla vigna” arrostendo pesce o carne accompagnata da uno schietto e forte vino nostrale.

Paolo Bracci 

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