«Nasopeloso!», «Sarracchiaio!»...ecco come si sentono spesso apostrofare gli abitanti di Porto S. Stefano da coloro che abitano nei paesi limitrofi! Molti non sanno, però, che i due soprannomi, usati bonariamente per puro scherno campanilistico, hanno un'origine comune che conferisce loro un significato tutt'altro che offensivo. Il “sarracchio” (nome scientifico Ampelodesmos mauritanicus, dal greco ampelos=vite e desmos=legame), infatti, è una pianta dalle foglie dure e taglienti (detta anche Tagliamano), che cresce sui terreni aridi e rocciosi del Promontorio. Oltre a essere utilizzato dai contadini per legare le viti o i mazzi di verdure raccolte, agli inizi dell'800 veniva impiegato anche per fabbricare cime e cordami destinati alla pesca. I santostefanesi erano molto abili in quest'arte, che tornò loro molto utile quando nel 1814 il bastimento di cordami, partito da Gaeta per rifornire Porto S. Stefano, subì un attacco piratesco e affondò.
I paesani, però, non si persero d'animo e per evitare l'interruzione delle attività di pesca, molto importanti dal punto di vista economico, si rimboccarono le maniche e incominciarono a intrecciare le foglie essiccate al sole per fabbricare le cime necessarie, tanto che fu creata una specie di industria manifatturiera di tipo artigianale-familiare, che dava lavoro a più di 150 famiglie. Unico inconveniente era che le cime si sfilacciavano presto e viste da lontano le imbarcazioni santostefanesi, fornite di bompressi, sembravano dei profili di visi dai lunghi nasi con i peli sporgenti. E così quando i marinai avvistavano le navi dei santostefanesi nei pressi dei loro porti, li sbeffeggiavano esclamando: «Ecco, arrivano i nasipelosi!».

Di Francesca Birardi, dott.ssa in Scienze Naturali e Guida Ambientale Escursionistica

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