Dai vari studiosi della flora vascolare del Monte Argentario sono state reperite circa 1170 entità, ripartite in 521 generi e 118 famiglie di cui una delle più interessanti, sia per numero di rappresentanti che per peculiarità, è quella delle Orchidaceae. Anche se il termine orchidea evoca ambienti esotici, pieni di fascino e di mistero, infatti la maggior parte di tali piante vivono nelle aree tropicali e subtropicali, pur tuttavia non molti sanno che circa 500 tra specie e sottospecie vegetano nell’Europa e nella regione mediterranea (Il numero varia a seconda dell’impostazione sistematica che ogni autore ha dato alla propria ricerca), di cui più di 170 crescono nel nostro Paese e circa 60 nella provincia di Grosseto; all’Argentario sono state individuate, esclusi gli ibridi, ben 46 entità, ripartite nei seguenti 12 generi: Anacàmptis, Cephalanthèra, Dactylorhìza, Epipàctis, Limodòrum, Neotinèa, Neòttia, Òphrys, Òrchis, Platanthèra, Seràpias e Spirànthes. Le orchidee nostrane sono piante erbacee, perenni, che nella maggior parte dei casi mostrano degli apparati radicali sotterranei, costituiti, oltre che da radici vere o avventizie, anche da bulbo-tuberi (o rizo-tuberi) con funzione di organi di riserva o di propagazione vegetativa, rinnovantesi ogni anno. Le foglie sono parallelinervie, intere, distinte in basali, il più delle volte riunite in rosetta, e cauline, talvolta ridotte a semplici squame. Il fusto si presenta semplice, non ramificato e terminante con un’infiorescenza. Il singolo fiore, costituito da sei pezzi, è formato da tre tepali esterni, simili tra di loro, e da tre interni, di cui due laterali pressoché uguali ed un terzo, completamente diverso, detto labello, che si presenta molto variabile a seconda dei generi e che, a causa di una torsione di 180° dell’ovario, detta resupinazione, nelle orchidee presenti all’Argentario, occupa una posizione inferiore cioè è rivolto verso il basso. Esso può mostrarsi intero o suddiviso in lobi, munito di uno sperone nettarifero, oppure, come avviene nel genere Òphrys, imitare con disegni, vari e multicolori, le forme dell’addome delle femmine del corrispondente insetto prònubo a cui è affidata l’impollinazione, il quale è ingannato dal fiore, oltre che per le sembianze, anche perché esso emette dei profumi che imitano, in forma molto verosimile, i feromóni della femmina che viene simulata. Fra i generi di Orchidaceae presenti all’Argentario tre di questi, Cephalanthèra, Epipàctis e Seràpias, presentano un labello diviso da una strozzatura mediana in una porzione basale, detta ipochilo, ed una distale o apicale, denominata epichilo. Il fusto si presenta semplice, non ramificato e terminante con un’infiorescenza. Peculiarità della Famiglia delle Orchidaceae è che gli stami, di cui due sterili (staminodi o punti staminodiali, ridotti ad abbozzi più o meno visibili) ed uno fertile (delle Orchidee italiane solo il genere Cypripedium possiede due stami fertili) e recante i granuli di polline, riuniti in due masserelle, i pollinii, e lo stilo sono saldati fra di loro a formare un’unica struttura, chiamata ginostemio. L’apparato radicale di alcune orchidee (Es. Òphrys, Òrchis, ecc.) se viene dissotterrato a fine fioritura-inizio fruttificazione presenterà due rizo-tuberi: uno scuro, del tutto raggrinzito, che è quello che ha dato origine alla pianta dell’annata, l’altro turgido e di colore chiaro, che darà vita ad una nuova pianta l’anno successivo e servirà, grazie alle sostanze di riserva accumulate, per superare il periodo estivo, allorché la parte aerea della pianta si è completamente seccata. Alle prime piogge autunnali, poi, incominceranno a spuntare le prime foglioline e a formarsi l’abbozzo del nuovo tubero che man mano si irrobustirà e prenderà le funzioni del precedente dopo la fruttificazione. La fenologia della maggior parte delle Orchidaceae nostrane si compone di un periodo di riposo estivo a cui segue uno vegetativo che terminerà con la fase di fioritura e quindi di fruttificazione. Nei generi che non presentano rizo-tuberi, come Cephalanthèra ed Epipàctis, e in parte anche in Neòttia, la parte aerea della pianta si conserva per un certo periodo di tempo anche dopo la fruttificazione, seccandosi ai primi freddi I luoghi, all’Argentario, più favorevoli per rinvenire orchidee sono le radure ed i margini dei sentieri nelle macchie, i prati, gli oliveti abbandonati, ma principalmente le garighe intendendo con tale termine un tipo di vegetazione costituito da erbe, suffruttici e frutici, che si presenta discontinuo e con copertura totale inferiore al 75%, a causa, in genere, di rocce affioranti. Il periodo di fioritura delle orchidee del nostro promontorio va dalla fine di marzo ad ottobre inoltrato (infatti tra la fine di settembre ed ottobre fiorisce Spirànthes spiràlis, unica orchidea ad antesi autunnale), con esclusione dei mesi estivi. Dei dodici generi presenti all’Argentario, quelli che contano il maggior numero di taxa sono il genere Òphrys ed il genere Òrchis. Il primo deve la sua denominazione (secondo l’opinione della maggior parte degli studiosi), dal greco, alla forma a sopracciglio dei tepali interni laterali, mentre il secondo, da cui, tramite il diminutivo di òrchis, òrchidion, deriva il nome di tutta la famiglia, ai due rizo-tuberi che ricordano due testicoli umani. Prime fra tutte, a fiorire, risultano Òphrys sphegòdes, una specie abbastanza comune in quasi tutta la Penisola, e Ophrys exaltata subsp. montis-leonis (= Ò. exaltàta subsp. tyrrhèna), la quale, invece, insieme a Òphrys argolica subsp. crabronìfera, rappresenta un interessante endemismo ligure/tirrenico presente sul nostro promontorio; abbastanza precoce è anche Òphrys lucìfera.,. Tra le Òphrys quelle che, forse, più colpiscono per la loro bellezza sono Ophrys neglecta (= Ò. tenthredinìfera subsp. neglecta), dal labello color giallo, con una macchia centrale bruna, e recante dei sepali bianchi o rosei e dei petali porporini, la rara Ophrys speculum (= Ò. ciliàta) munita di un labello con una macchia azzurra splendente, Òphrys apìfera, che come ricorda l’aggettivo specifico imita le sembianze di un’ape, Ophrys holosericea subsp. holosericea (= Ò. fuciflòra subsp. fuciflòra), entità con labello assai variabile per forma e dimensione, Òphrys bombyliflòra, dal labello di color bruno intenso, trilobo e fortemente bombato e Òphrys bertolònii, tipica per il suo labello incavato a sella. Come già accennato, può sembrare curiosa la strategia attuata da questi fiori, cioè di imitare le forme delle femmine di alcune specie di imenotteri aculeati per indurre i maschi, che, credendo di trovarsi di fronte al partener di sesso opposto, sono spinti a posarsi sul labello per accoppiarsi.
Nel corso di questo tentativo di accoppiamento (detto pseudocopulazione) le masse polliniche si appiccicano al capo dell’insetto che le porterà su altri fiori, mentre cercherà di effettuare i suoi tentativi di accoppiamento. Ancor più singolare appare l’inganno perpetuato da alcune orchidee presenti sul nostro promontorio, come Òphrys lùtea subsp. mìnor, dove i maschi di un apide del genere Andrena, intravedendo nel disegno del labello di questa pianta il partner disposto in posizione invertita, rivolgono l’addome verso le masse polliniche cosicché queste si attaccano all’estremità posteriore dell’insetto, anziché sulla testa. Le stesse strategie descritte per Òphrys lùtea subsp. mìnor vengono attivate e rivolte ad altri insetti pronubi anche dalle sopra menzionata Òphrys lucìfera. Tra le rappresentanti del genere Òrchis la più comune è senza dubbio Òrchis itàlica, la quale fiorisce in aprile e cresce in tutti gli ambienti di tipo mediterraneo e, per la silhouette umana che mostra il suo labello, dai locali è denominata omo gnudo; nello stesso periodo e nei medesimi habitat è facile rinvenire anche altre graziose orchidee: (Anacàmptis papilionacea) (= Òrchis papilionàcea) che, come indica lo stesso epiteto specifico, assomiglia ad una farfalla e Òrchis anthropòphora (= Aceras anthropòphorum), dalle vaghe sembianze umane. Due altre specie sono abbastanza diffuse, anche se un po’ più tardive delle precedenti: Anacàptis morio (= Òrchis mòrio) e Anacàptis coriòphora (= Òrchis coriòphora). La prima preferisce prati, oliveti abbandonati, radure e bordi dei sentieri nelle macchie e presenta un labello trilobo che assume tutte le variazioni del viola, con delle punteggiature più evidenti nella parte centrale; la seconda fiorisce, tra maggio ed i primi di giugno, in luoghi in parte aridi ed assolati, emanando un delicato profumo di vaniglia. Gli stessi ambienti ospitano anche altre specie appartenenti al genere Anacàmptis e Seràpias: Anacàmptis piramidàlis, dai fiori rosa più o meno intenso, Seràpias lìngua, Seràpias parviflòra, Seràpias vomeràcea e Seràpias cordìgera, quest’ ultima, la più rara ed appariscente. Le zone più elevate del Promontorio, dove più facilmente s’incontrano luoghi freschi, ricoperti da macchia alta e con presenza di castagni, ospitano alcune delicate ed interessanti orchidee: Dactylorhìza romàna, una pianta dal fusto gracile, foglie lanceolate o lineari-lanceolate e con fiori varianti dal viola al carminio, al giallo crema o, raramente, al bianco; Cephalanthèra longifòlia, con foglie alterne, lineari-lanceolate o lanceolate, di un bel verde brillante e con uno scapo eretto, recante dei fiori bianco candido; Platanthèra cloràntha dai fiori verdastri, raccolti in una spiga cilindrica alla sommità di uno scapo che si diparte da due grandi foglie basali, ovali; Neòttia nìdus-àvis, specie priva di clorofilla, di color giallo bruno il cui ciclo vegetativo e riproduttivo è strettamente legato al rapporto simbiotico che il suo apparato radicale, costituito da un fascicolo di radici carnose, rassomiglianti ad un nido di uccello, da cui il nome, contrae con specifici microfunghi del terreno. Sulle dune della Feniglia, in ottobre, è possibile ammirare Spirànthes spiràlis, una delicatissima orchidea, dai fiori bianchi, profumatissimi, disposti a spirale lungo l’infiorescenza. La riproduzione delle Orchidaceae può avvenire secondo due diverse modalità: per agamia, vale a dire mediante la produzione di rizo-tuberi accessori che distaccandosi danno origine a nuove piante, e per gamia, e questa è una vera modalità riproduttiva in quanto consente l’interscambio di materiale genetico, mediante la fecondazione degli ovuli e la successiva germinazione dei semi. Le modalità di fecondazione delle Orchidaceae sono tra le più specializzate del regno vegetale, dato che il polline, essendo riunito in una massa vischiosa, non può essere trasportato dal vento e non si può avere quindi un’impollinazione anemofila; inoltre gli organi riproduttori sono ben protetti ed inaccessibili a molte specie di insetti. Anche l’autoimpollinazione è molto difficile a causa del particolare posizionamento del gineceo e dell’androceo. La fecondazione delle Orchidaceae è essenzialmente zoogama e va a DARWIN il merito di aver fatto luce su molti dei meccanismi che la regolano nel suo volume “ La fecondazione delle Orchidee per mezzo degli insetti”. In alcuni generi i fiori secernono un liquido zuccherino, il nettare, che si raccoglie nello sperone e che ha il compito di attirare gli insetti prònubi. DARWIN dimostrò questo meccanismo resecando gli speroni di alcuni fiori di Anacàptis e verificando che i fiori, così privati del nettare, non venivano visitati da insetti, contrariamente a quelli integri. Come già accennato, l’impollinazione dei fiori del genere Ophrys è effettuata dai maschi di alcuni Imenotteri aculeati che, attratti in modo selettivo dai labelli di queste Orchidaceae che simulano le loro femmine, scambiandoli per queste vi si posano guidati da stimoli visivi, olfattivi e tattili per tentare l’accoppiamento. Da questo atto (pseudocopulazione) consegue lo scambio del polline tra un fiore e l’altro, per mezzo dei pollinii che rimangono attaccati al capo (o negli impollinatori delle entità del gruppo fusca-lutea all’addome) di questi imenotteri, durante le manovre di pseudocopula. Il frutto è una capsula che, a maturità, si apre lungo delle linee longitudinali da cui fuoriescono migliaia di piccolissimi semi, i quali però non germineranno se non saranno infettati da un particolare microfungo, del genere Rhizoctonia, col quale stabiliscono un delicato rapporto di simbiosi che non risulta del tutto “amichevole”, poiché i due simbionti cercheranno di prendere il sopravvento l’uno sull’altro e solo se si riuscirà ad ottenere un giusto equilibrio tra fungo ed embrione di orchidea, questa riuscirà ad emettere un primo germoglio che le permetterà di essere, mediante la fotosintesi clorofilliana, completamente indipendente, o quasi, dall’apporto del fungo.

Ricavato da “Monte Argentario e laguna di Orbetello. Aspetti storici, paesaggistici e naturalistici con itinerari”. Autori: Enrico Bulgheri & Giuseppe Tosi. Casa editrice EFFIGI, 2009. Foto: Giuseppe Tosi
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